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Compañera X:

La questione femminile negli ambienti anarchici

Michela Cimbalo*

All'interno dell'anarchismo spagnolo l'interesse verso la questione femminile aveva radici di lunga data. A differenza di altre correnti del movimento dei lavoratori in Spagna, che vi avevano rivolto un'attenzione minore o tardiva, il movimento anarchico aveva cominciato a trattarla fin dalle sue origini inserendola all'interno della critica complessiva elaborata nei confronti della società borghese e dei rapporti di potere sui quali questa si basava. Ciononostante, in molti casi questa attenzione peculiare mostrata dall'anarchismo non era riuscita ad andare oltre la semplice enunciazione di principi generali privi di risvolti pratici e inoltre aveva dato origine a posizioni molto differenziate tra loro.[1]

La difesa di una totale uguaglianza tra uomini e donne e la necessità di un'emancipazione femminile vennero proclamate in varie occasioni nelle risoluzioni congressuali delle organizzazioni anarchiche, già a partire dagli ultimi decenni dell'Ottocento. Un primo esempio ne è il congresso di Zaragoza del 1872 della Federación Regional Española aderente alla I Internazionale, durante il quale era stato affermato che «la donna è un essere libero e intelligente e, come tale, responsabile dei suoi atti, così come l'uomo».[2] Il congresso aveva denunciato la condizione d'inferiorità della donna all'interno della famiglia e difeso il suo diritto a un'indipendenza economica, ritenendo che questa fosse un fattore indispensabile per giungere a una liberazione femminile. Sostenere l'ingresso delle donne nel lavoro salariato appariva all'epoca una presa di posizione affatto scontata, data la diffusa opinione secondo la quale le presenza delle donne nel mercato del lavoro costituiva un'illecita concorrenza verso i lavoratori uomini, che ne andava a diminuire la forza contrattuale. Rifiutando questa impostazione, il congresso controbatteva che «la causa di questi mali non è nel lavoro della donna, bensì nel monopolio che esercita la classe sfruttatrice».[3] Era dunque necessario considerare le donne come alleate di classe e renderle partecipi delle lotte sociali volte «all'emancipazione del proletariato, poiché così come di fronte allo sfruttamento non c'è differenza di sesso, non deve esserci neanche di fronte alla giustizia».[4] Nessuna donna aveva avuto tuttavia la possibilità di ratificare queste avanzate dichiarazioni, poiché al congresso avevano assistito soltanto delegati uomini. Il tema venne ripreso anche dal Congresso fondativo della CNT celebrato nel 1910, che gli dedicò un'apposita risoluzione. Oltre a invocare la parità di salario e misure di protezione dirette alla donna lavoratrice, così come la necessità di includerla nelle lotte sociali, si faceva ora riferimento anche a una dimensione di sfruttamento specifico che la donna soffriva all'interno della famiglia. Si tratta di un'autocritica maschile che non cessa di sorprendere per il contenuto e il tono utilizzato:

[ ... ] molti di noi permettono che le nostre compagne si alzino dal letto prima delle cinque del mattino mentre noi rimaniamo a riposare. E quando la donna finisce di versare il suo sangue per dodici ore per mantenere i vizi di uno sfruttatore, arriva a casa e al posto di un momento di riposo si trova con un nuovo borghese - compagno - che con la maggior tranquillità attende che essa faccia le faccende domestiche. [...]

L'attenzione dell'anarchismo spagnolo su questi temi non si rivelava solo in occasione dei congressi sindacali. Essi erano frequentemente trattati in articoli, opuscoli e pubblicazioni, spesso affrontati nell'ambito di molteplici questioni che risultavano di grande interesse per l'anarchismo nella prospettiva di una critica alle relazioni di potere e di trasformazione rivoluzionaria della società, come la critica al matrimonio e all'istituzione famigliare, la questione sessuale, l'amore libero, l'educazione e la diffusione di cultura. In alcuni casi la subordinazione della donna all'interno dell'ambiente famigliare veniva ricondotta non solo alla mancanza di una sua indipendenza economica, ma anche a una condizione di dipendenza psicologica, derivante dall'assimilazione della concezione della propria inferiorità rispetto all'uomo.[7]

Nonostante i frequenti proclami egualitari e il generale consenso a livello teorico verso l'emancipazione delle donne, all'interno degli ambienti anarchici le pratiche abituali si mostravano tuttavia spesso differenti. Ancora negli anni Trenta sopravviveva in molti militanti anarchici una concezione tradizionale della donna che tendeva a privilegiare il suo ruolo all'interno del focolare domestico e ad escluderla dal lavoro salariato e dalle lotte sociali. D'altronde il sindacato rimaneva ancora all'inizio degli anni Trenta uno spazio prevalentemente maschile e la partecipazione femminile vi risultava limitata e saltuaria. Anche se erano tesserate, la maggioranza delle donne non frequentava le sedi del sindacato, la loro presenza ad assemblee e congressi continuava ad essere scarsa ed era molto raro che accedessero a cariche sindacali o di altre organizzazioni anarchiche. Una situazione a parte si presentava all'interno delle sezioni della Federación Ibérica de Juventudes Libertarias (FIJL), l'organizzazione giovanile anarchica creata nel 1932, e negli Atenei libertari, centri culturali che offrivano una vasta gamma di attività, come dibattiti e conferenze, scuole per adulti e bambini, gruppi di teatro, cinema, biblioteche, corsi di formazione e gite all'aperto. Particolarmente legati alla vita di quartiere, gli Atenei libertari erano luoghi di socialità e di diffusione di cultura e degli ideali anarchici che riuscivano a coinvolgere un bacino molto ampio ed eterogeneo di partecipanti, contribuendo a creare rapporti più estesi e variegati di quelli che potevano stabilirsi all'interno dei sindacati solo sulla base delle relazioni lavorative. Esistenti già da decenni, nei primi anni Trenta vissero una crescita esplosiva, sorgendo numerosi in varie località; dopo un periodo di crisi generato principalmente dalle ondate repressive che a partire dal 1933 costrinsero molti a frequenti chiusure, tra la fine del 1935 e soprattutto con l'inizio del 1936 andarono incontro a una nuova fase espansiva. Negli Atenei, così come anche nelle Juventudes Libertarias, si registrava una presenza femminile decisamente più alta rispetto al sindacato, soprattutto per quanto riguardava le donne più giovani, e i gruppi che vi si formavano erano spesso misti.[8]

La presenza delle donne in questi spazi si scontrava tuttavia costantemente con i comportamenti escludenti, denigratori e sessisti di molti dei militanti. La partecipazione femminile alle lotte sociali era auspicata e invocata da più parti e durante i primi anni Trenta si convertì in un tema particolarmente presente sulla stampa anarchica e oggetto di vere e proprie campagne; ma spesso appariva più come un ideale astratto, mentre un ruolo femminile realmente attivo all'interno delle organizzazioni non veniva nei fatti preso in considerazione. Non era raro che anche articoli di stampa paradossalmente diretti a difender l'emancipazione femminile insistessero sul ruolo che avrebbe dovuto svolgere la donna come madre e come compagna, solidale con l'attività militante dell'uomo; in una parola, sulla sua funzione assistenziale e ausiliare alla militanza maschile. Frequenti erano inoltre i riferimenti alla sua condizione di arretratezza, alla mancanza di una preparazione culturale e politica e, non da ultimo, al suo essere completamente dipendente dalla Chiesa cattolica e dominata dalla superstizione, caratteristiche che la qualificavano come una forza conservatrice.

Così, le donne che avevano legami con il movimento anarchico vivevano una situazione particolarmente contraddittoria: l'anarchismo difendeva la libertà e l'uguaglianza tra tutti gli esseri umani, l'azione diretta portata avanti in prima persona dai soggetti sfruttati e l'importanza dell'individualità e dello sviluppo interiore di ogni persona; ma spesso questi principi e pratiche non venivano applicati nei confronti delle donne. Anche se frequentemente veniva denunciata la condizione di sottomissione che esse vivevano, in molte occasioni il discorso si ritorceva sulle stesse donne, accusate di rimanere colpevolmente nell'ignoranza e nell'oscurantismo. Allo stesso modo all'interno delle famiglie, anche quando queste erano composte da attivi militanti, 1a libertà delle donne era invocata fuori casa ma spesso non praticata nell'ambito famigliare; ciò aveva delle evidenti ripercussioni anche sul reale coinvolgimento femminile in iniziative e attività del movimento, poiché tutto il carico dei lavori domestici ricadeva su di loro ed esse disponeva:no di possibilità di movimento molto limitate, soprattutto per quanto riguardava la partecipazione a riunioni notturne. Di fronte a questa situazione, all'inizio degli anni Trenta alcune donne anarchiche cominciarono a denunciare pubblicamente lo stato di subordinazione che vivevano dentro casa e all'interno delle organizzazioni. Una di queste, tra le più attive, fu proprio Lucía, che in questo periodo dedicò numerosi scritti alla condizione specifica delle donne all'interno del movimento anarchico.

A partire dall'agosto 1934 cominciarono infatti ad apparire su «CNT» alcuni articoli su questo argomento, firmati da una certa "Compañera x". Lo stile di scrittura, il contenuto degli articoli, le frasi che vi appaiono (che si riproporranno identiche in successivi scritti di Lucía), e i riferimenti che vi vengono fatti a suoi articoli precedenti indicano che si trattava proprio di lei, peraltro unica donna presente tra i redattori del quotidiano.[9] La Compañera x era infatti interna alla redazione: non si limitava a inviare articoli saltuari, ma lanciò una rubrica sulle pagine del giornale confederale, intitolata La donna sul cammino della rivoluzione, invitando le lettrici ad esprimersi all'interno di questo spazio.

Pseudonimo interessante, quello della Companera x, che ben corrisponde alla propensione che mostrò Lucía durante tutti gli anni della sua attività politica a evitare qualsiasi personalismo e a mettere piuttosto in risalto l'opera collettiva di uomini e donne anonimi. Il ricorso allo pseudonimo era pratica ampiamente diffusa sulle pubblicazioni anarchiche, tuttavia Lucía scelse una firma decisamente modesta e poco evocativa, che rivelava tutto un programma di intenti. Presentarsi come una qualsiasi compagna anonima era un tentativo di incoraggiare altre donne, che magari non erano abituate a scrivere, a intervenire e a prendere parte a una discussione tra voci femminili.

L'argomento di confronto proposto dalla Compañera x era la situazione della donna all'interno delle organizzazioni anarchiche e le possibilità di una sua reale partecipazione a queste. Curiosamente, il primo articolo non era tuttavia rivolto alle donne, bensì esplicitamente agli uomini, e più precisamente ai militanti anarchici, dei quali invocava un cambiamento di prospettiva e di comportamento. Si intitolava appunto " Il grande lavoro dei compagni e denunciava la mancanza da parte dell'anarchismo spagnolo di un'effettiva attenzione verso la questione femminile, che andasse al di là dell'enunciazione di principi teorici e permettesse un reale coinvolgimento delle donne all'interno del movimento. In risposta alla diffusa concezione che vedeva la donna caratterizzata dall'ignoranza e dall'arretratezza, Lucía denunciava che «è all'egoismo maschile, il quale, per calcolo o per negligenza, ha mantenuto la donna per secoli in uno stato intellettuale deplorevole, che spetta ogni colpa».[10] Sosteneva che quella che veniva considerata la vera natura femminile non fosse in realtà altro che la proiezione di una certa rappresentazione della donna:

Ciò ha portato alcuni a rovesciare sulla donna colpe che non le sono imputabili, si è parlato molto delle sue influenze deleterie senza curarsi di studiare il fondo della questione; non considerarono che la donna agiva, semplicemente, da specchio, restituendo e moltiplicando le immagini in essa riflesse, che la proiezione veniva dagli uomini e agli uomini era restituita.

In una prospettiva decisamente interessante, Lucía proponeva dunque una descrizione del genere femminile come prodotto di un gioco di specchi, di immagini riflesse provenienti dallo sguardo maschile.

La sua indignazione si rivolgeva poi verso quei militanti che continuavano a mantenere le donne della propria famiglia in uno stato di subordinazione, contraddicendo così gli ideali propagandati fuori di casa: «E triste comprovare che molti compagni mentre ostentano il loro essere rivoluzionari in strada, nell'officina, nel sindacato, hanno un focolare domestico strutturato in conformità con le più pure norme feudali, dove agiscono da piccoli dittatori». I militanti anarchici avrebbero dovuto invece «modificare il carattere delle relazioni fra i sessi dentro la famiglia», liberando le donne da «questa vigilanza [ ... ] coattiva 1che le relega in uno stato d'inferiorità dentro casa, e le colloca in una dimensione di eterne minorenni, portandole ad abbandonare in mano d'altri la risoluzione di tutti i problemi».

Era dunque sul piano delle relazioni personali e famigliari che si doveva dare avvio a un processo che favorisse una maggiore autonomia e responsabilizzazione delle donne: solo così sarebbe stata possibile una loro effettiva azione in ambito politico. Lucía ribadiva come questo obiettivo fosse d'altronde perfettamente in 1inea con le basi dell'anarchismo, che ricercava la partecipazione attiva e cosciente di ogni individuo, e non la mobilitazione passiva delle masse: E' necessario lasciare [alle donne] un margine di libertà che le obblighi a cercare da sole la soluzione a un'infinità,di questioni, in modo che mano a mano si crei nella loro coscienza il senso di responsabilità.

Senza senso di responsabilità non c' è personalità, non c'è individuo; e se non c'è individuo le collettività sono soltanto conglomerati senza coscienza e senza carattere: masse. Noi anarchici dobbiamo cancellare questa parola dal nostro vocabolario. Massa è una cosa amorfa, non delimitata, e noi vogliamo cose concrete, ben concrete e ben definite: vogliamo individui.

Il nostro lavoro, il nostro grande lavoro, meglio ancora, il lavoro dei compagni [ ... ] è quello di fare di ogni donna un'individualità.

Infine, rivolgeva un invito a tutte le donne, «anche nel caso in cui avessero soltanto una scarsa preparazione in questo campo, a esporre le proprie opinioni sul lavoro che la donna può realizzare sia nel percorso verso la rivoluzione che in seguito a questa».

La rubrica tuttavia non ebbe in realtà molto successo, poiché non arrivarono i contributi di altre donne come auspicava Lucía; a parte quello di una anonima, che si firmava «una companera» e si dichiarava «non molto esperta su questi temi», la quale propose uno scritto nel quale risaltava l'uso di un linguaggio estremamente semplice e di argomentazioni che apparivano quasi ingenue. [11] Si trattava forse di un altro camuffamento di Lucía per tentare di rilanciare 1'iniziativa, che non stava ricevendo i contributi sperati? Difficile dirlo. Si, naturalmente toccò alla Compañera x riprendere in mano la penna per mantenere in vita la rubrica. Nelle settimane successive i suoi interventi si rivolsero direttamente alle donne, dalle quali auspicava un'azione profondamente rivoluzionaria in senso ampio, in grado di superare i cammini tracciati fino a quel momento dagli uomini: [ ... ] scavare, approfondire, denudare la causa, distruggerla, è il compito che la storia riserva alla donna [ ... ] Bisogna [ ...] lasciare da parte tutta la falsa saggezza maschile, accantonare tutta la sua scienza politica e sociale e cercare la verità nel fondo delle nostre coscienze. Bisogna scuotere la scacchiera e cominciare una nuova partita. Tutti i valori attuali sono falsi, tutti. E non vale cambiare le nomenclature è necessario cambiare l’essenza e le viscere delle cose.

Accettare qualcosa dell'esistente :sarebbe dare per buona la formula sociale che rese possibile la nostra schiavitù per secoli. [. . .] non possiamo reclamare la nostra libertà, ribellandoci contro l'ingiustizia secolare che ci ha tenute postergate, senza tenere in conto che su questa stessa ingiustizia è edificato ciò che ci circonda. [12]

Riconoscendo una correlazione tra il sistema di rapporti di genere e la strutturazione delle relazioni di dominio nella società, Lucía sosteneva che l'azione delle donne non potesse essere separata da una più ampia prospettiva rivoluzionaria, pena il fallimento di ogni speranza di liberazione femminile. Queste due questioni avevano ormai acquisito nel suo pensiero un saldo legame, che le rendeva inscindibili: perciò, concludeva, «bisogna cercare prospettive nuove e cammini vergini. [ ... ] Bisogna edificare una nuova vita attraverso un procedimento nuovo». [13]

Lo spazio di discussione creato su «CNT» dalla Compañera x rimase in vita solo alcune settimane. Intanto, it1 questo stesso periodo, le mire di Lucía si stavano volgendo verso un progetto ben più ambizioso di una semplice rubrica al femminile. Stava nascendo in questi anni, gradualmente, l'idea di creare quella che nel 1936 diverrà l'organizzazione Mujeres Libres, pensata inizialmente come gruppo attivo di donne impegnato nel promuovere incontri culturali destinati a un pubblico femminile e con l'ambizione di arrivare a produrre una pubblicazione fatta da sole donne. A questo fine Lucía, assieme a un'altra militante anarchica, Mercedes Comaposada, aveva cominciato a tessere i fili di una rete di contatti tra. varie esperienze e soggetti femminili.

A partire dalla fine degli anni Venti e soprattutto nei primi anni Trenta in seguito all'avvento della Repubblica, stavano nascendo in area anarchica piccoli gruppi specificatamente femminili, che approfittavano degli spazi degli Atenei o delle sedi sindacali per incontrarsi: a Terrasa già nel 1928 un gruppo di operaie tessili aveva cominciato a riunirsi per discutere temi sociali e abituarsi a parlare in pubblico per poter poi intervenire all'interno dei sindacati.[14] A Madrid nel 1932 esisteva un collettivo femminile anarchico, nato all'interno delle Juventudes Libertarias, così come pure a Santander, nei Paesi Baschi, mentre una Agrupación Femenina de Educación Libertaria si formava nel 1933 a Vitoria.' A Barcellona il Grupo Cultural Femenino creato da aderenti alla CNT - che a partire dal 1936 avrà un ruolo determinante nella diffusione di Mujeres Libres - verso la fine del 1934 aveva avviato un ampio lavoro di formazione interna e di propaganda verso le donne lavoratrici. Nella primavera del 1936, a Jerez de la Frontera nacque un sindacato, aderente alla CNT, esclusivamente femminile, mentre a San Sebastián si formò una Agrupación Cultural Femenina nella sede del sindacato locale, la quale rivolse un appello ad altre organizzazioni di donne a stabilire contatti e scambi per realizzare un lavoro comune.[16] Sono solo alcuni esempi di

esperienze femminili nate in questi anni all'interno degli ambienti anarchici a livello locale, che in molti casi hanno lasciato deboli tracce della loro esistenza, ma testimoniano la necessità avvertita da molte donne vicine al movimento anarchico di ricercare in forme diverse spazi di autonomia. Alcuni di questi gruppi, o loro singole appartenenti, confluiranno poi a partire dal 1936 all'interno dell'organizzazione Muieres Libres, il cui punto di forza iniziale risiedette proprio nel mirare consapevolmente a creare collegamenti e legami con varie di queste realtà, facendo del progetto dell'omonima rivista un'occasione di incontro e di scambio tra iniziative sparse di autorganizzazione tra donne. In questo lavoro teso a creare una rete femminile militante, gli sforzi e gli appelli lanciati da Lucìa a partire dal 1934 ci rivelarono in breve tempo particolarmente incisivi.


*Lo scritto è tratto dal volume di Michela Cimbalo, Ho sempre detto noi. Lucía Sánchez Saornil, femminista e anarchica nella Spagna della Guerra Civile , Viella, 2020, pp. 131-139


Note

l. Un'analisi comparata dell'approccio alla questione femminile da parte delle varie tendenze del movimento dei lavoratori in Spagna in Nash, Mujer y movimiento obrero.

2. Cit. in Nash, Mujer, familia y trabajo, pp. 299-301.

3. Ibidem.

4. Ibidem.

5. Espigado Tocino, Las mujeres en elanarquismo español, p. 53.

6. Ead., in Nash, Mujer,familia y trabajo, pp. 364-365.

7. Nash, Mujer y movimiento obrero, pp. 37-68.

8. Navarro Navarro, Ateneos y gruposácratas; Vega, Pioneras y revolucionarias.

9. Frasi di questi articoli della Compañera x si ritrovano uguali in scritti pubblicati da Lucía nell'autunno del 1935 su «Solidaridad Obrera» e negli editoriali dei primi tre numeri della rivista «Mujeres Libres». Questo pseudonimo riapparirà successivamente sulla rivista «Umbral», altra pubblicazione dove Lucia sarà l'unica donna interna alla redazione. Era già stato ipotizzato che gli articoli apparsi su «Unbral» a firma della Compañera x appartenessero a Lucía, in Martín Casamitjana, Lucia Sánchez Saornil. Poesia, p. 20; il ritrovamento degli articoli pubblicati nel 1934 su «CNT» fornisce la conferma inequivocabile a questa ipotesi.

10. Compafiera x, La gran tarea de los compañeros, in «CNT», 23/08/1934. Cosi come le successive citazioni.

11. «CNT», 3/09/1934.

12. Compañera x, Ante la guerra y ante elfascio, 1n «CN1», 29/08/1934.

13. Ibidem.

14. Ackelsberg, Mujeres libres: l'attuailità della lotta, pp. 178-179.

15. «El Libertario», 3/09/1932 e 25/03/1933; «CNT» 21/01/1933.

16. Sul sindacato di Jerez, in «Mujeres Litres», n. 2, [giugno 1936]; sul gruppo di San

Sebastián, Vega, Pioneras y revolucionarias, PI• 129-130.